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Tutti coinvolti

Posted on 2022/05/24 - 2022/05/29 by avisbabel

Alle prime luci dell’alba, un camion di 40 tonnellate si mette in marcia sotto una pioggia fine. Non è che uno delle migliaia di veicoli che assicurano il trasporto su strada delle merci, ma la sua missione è assai meno anodina. A fari accesi, il camion avanza nei sobborghi della capitale bavarese, Monaco. Sulla sua scia si staglia la lugubre sagoma di una gru che sembra pronta a piombare coi suoi artigli meccanici su una qualsiasi preda. Si tratta di un vero e proprio convoglio: infatti il camion è scortato da alcune volanti della polizia a lampeggianti spenti. Arrivati a destinazione, alcuni poliziotti saltano giù dai loro veicoli, sfondano una porta, poi si precipitano nei locali. L’operazione non mira ad effettuare qualche scoperta, sono lì per sequestrare. Contrariamente perciò a quanto si potrebbe immaginare, non sono lì a prelevare persone sospette. Né bidoni stagni di ingredienti esplosivi o di armi ben nascoste, la cui assenza non costituisce certo la prova di un’innocenza poco raccomandabile in questo mondo mortifero. Non c’è la benché minima tanica di benzina in giro. E comunque, non è questo che cercano gli agenti, i quali intendono mettere le mani su ben altro armamento, di quelli che affilano la mente e rafforzano il pensiero. A Monaco, il 26 aprile 2022, gli sbirri sono andati per impadronirsi… di una stamperia destinata ai testi anarchici.
Come riportato in seguito dai compagni, la polizia ha messo le mani sull’intera tipografia: «dalla Risograph ((un duplicatore digitale) coi relativi tamburi fino alla taglierina, dal raccoglitore alla brossuratrice, e persino una storica stampante tipografica coi suoi caratteri di piombo, il tutto finito nel deposito dei reperti di prova degli sbirri». Decine di migliaia di fogli di carta bianca, di litri d’inchiostro ed altri materiali di consumo per stampa, insieme a migliaia di libri, opuscoli e giornali. Un bottino considerevole, che spiega la presenza del camion e della gru in quel detestabile convoglio mattutino.

Altrove, in città, altre squadre di polizia coordinate dal Servizio di protezione statale (sezione K43, «Criminalità con finalità politiche») sfondano le porte di quattro appartamenti e perquisiscono diverse cantine e la biblioteca anarchica Frevel. Il pretesto giuridico per tutta questa operazione non è granché originale: è il sulfureo §129, l’articolo del codice penale tedesco che colpisce «la creazione di un’organizzazione criminale». Da sempre gli anarchici, fuorilegge per eccellenza — almeno nelle idee (perché i loro ranghi non sono stati risparmiati dalla malattia del legalitarismo e dalla paura paralizzante o calcolata di qualsiasi trasgressione della legge) — vengono perseguitati dagli Stati che si servono di tali articoli nel codice penale. Fino ad oggi, abbiamo visto gli Stati sguainare questi strumenti legali per reprimere i gruppi anarchici, attaccare l’informalità organizzativa e le costellazioni affinitarie che rifuggono gli schemi troppo rigidi di un’Organizzazione con la maiuscola, limitare il margine sempre precario delle iniziative pubbliche e degli spazi di incontro e diffusione, scoraggiare coloro che si adoperano a scrivere e diffondere scritti anarchici come il settimanale anarchico Zundlumpen, bersaglio della polizia bavarese e che sembra costituire uno degli attaccapanni ai quali la polizia intende attaccare ulteriori elementi della sua indagine.
Contrariamente a una certa retorica, purtroppo sempre in voga tra compagne e compagni, che sembra fare più opera di terapia autoconsolatoria, noi non pensiamo che lo Stato attacchi i nostri spazi, le nostre pubblicazioni e le nostre strutture tipografiche perché avrebbe paura della parola anarchica, o  si senta minacciato dalla diffusione che facciamo di libri e giornali. È solo che, per esso, è diventata una delle cose talmente facili da fare. Il «movimento» anarchico e anti-autoritario odierno non è in grado di far scendere migliaia di persone in piazza quando una delle sue tipografie viene sequestrata (sebbene sia avvenuto in precisi tempi storici), né di essere all’altezza quando le sue iniziative pubbliche vengono soffocate da una spirale poliziesca. E questo non ha solo a che vedere con una riduzione quantitativa — molto importante — dei ranghi anarchici, ma anche con la profonda trasformazione dei rapporti sociali negli ultimi decenni. La ristrutturazione tecnologica dello sfruttamento capitalista, l’inclusione di quasi tutti i settori della vita nella gestione statale e nella sfera capitalistica, lo sradicamento di qualsiasi comunità che non sia quella (molteplice, è vero) prodotta dall’idra tecnologica, per non parlare dello spaventoso assalto del linguaggio, il suo terribile impoverimento e la sua sostituzione con immagini diffuse su schermi onnipresenti, o l’abisso di incoscienza e di abbrutimento in cui buona parte dell’umanità si sta lanciando (o viene spinta, in fondo importa poco): tutto ciò non è senza conseguenze per l’azione e la diffusione delle idee anarchiche. Allo stesso modo, neppure gli anarchici ne escono indenni: anche loro sono colpiti, ovvero assorbiti dalla valanga delle nuove tecnologie, della comunicazione mediata istantanea, dalla difficoltà di proiettarsi più in là di domani o dall’incapacità di operare una distinzione tra ciò che sarebbe importante pubblicare e diffondere oggi e quella che è solo una triste testimonianza del vuoto esistenziale che s’impadronisce di loro come dei loro contemporanei. In breve, il fatto che lo Stato se la prenda regolarmente e con una disinvoltura sempre più noncurante coi pochi spazi anarchici che sono ancora visibili, non testimonia la nostra forza, quanto la nostra debolezza. Onestamente, tutto il resto sembra essere solo una verbosità che non fa avanzare la riflessione necessaria, del crescendo retorico in modo di non dover affrontare la questione che diventa essenziale ad ogni attacco di un giornale, ad ogni persecuzione degli anarchici col misero pretesto di un’organizzazione illecita (a scelta, «criminale», «terrorista», «sovversiva», «illegale», …): come continuare ad agire in questa èra di tenebre tecnologiche in cui le coscienze si spengono e le nostre foreste mentali sono rase al suolo? Con quale metodologia, con quali forme organizzative, con quali tentativi per non commettere gli stessi errori? Se non possiamo che condividere la fiera affermazione che rifiuteremo fino alla fine di adattare le nostre idee, che resisteremo all’appiattimento, a costo di diventare gli ultimi dei Mohicani a difendere l’idea di una libertà totale, pensiamo che dovremmo apprendere le condizioni in cui agiamo e non ignorarle.

Un’operazione così grossolanamente totalitaria come il sequestro di macchine da stampa (ricordiamo che all’epoca della censura sistematica applicata alle pubblicazioni anarchiche, lo Stato si limitava per la maggior parte del tempo ad oscurare i passaggi ritenuti troppo virulenti o che superavano il quadro della «libertà di espressione» diventando una «istigazione al crimine”, e perfino nei casi più estremi al sequestro della stampa — non agli strumenti di stampa) è qualcosa che riguarda tutti gli anarchici, indipendentemente dalle attività cui si stanno dedicando o da quali sentieri abbiano scelto di percorrere. Non certo perché fornisca la prova che la parola anarchica costituisce comunque una minaccia per la stabilità dello Stato, né in quanto rinsaldi la vecchia convinzione che immaginava l’avvento della rivoluzione come il risultato del risveglio delle coscienze addormentate grazie agli instancabili sforzi dei propagandisti anarchici, che non dormono mai. No, ci riguarda tutti perché è indicativa dello stato del mondo, dello stato dei rapporti sociali e del prossimo futuro in cui saremo portati ad agire — o a rinunciare. Pur senza unirsi ai cori dell’indignazione legalitaria, si può tuttavia affermare che i sequestri delle stamperie, le chiusure di locali pubblici, lo scioglimento di gruppi relativamente aperti, ci trasportano in un’altra dimensione rispetto alla repressione, in definitiva del tutto «normale» e «logica», che mira a mettere in condizione di non nuocere coloro che attaccano fisicamente le strutture e le persone del dominio. Sebbene queste due dimensioni vadano sempre insieme e non siano così separate come alcuni vorrebbero credere, portare un camion da 40 tonnellate a prelevare una taglierina e una macchina tipografica coi caratteri di piombo fa pensare piuttosto a misure adottate in altri regimi. E in questa epoca di corsa in avanti industriale e tecnologica apertamente pluralista ma profondamente totalitaria, una tale pratica che sembrava obsoleta potrebbe quindi sorprenderci di nuovo — tanto più che il modo migliore per disinnescare ogni possibile pericolo proveniente dalla diffusione dei testi anarchici è ovviamente la sua attuale virtualizzazione, la sua derealizzazione tecnologica. Ma nulla scompare per sempre e tutto rimane potenzialmente presente.

La generalizzazione del salariato non ha abolito definitivamente la schiavitù, l’installazione di centrali nucleari non ha fatto scomparire le miniere di carbone, la razionalizzazione della produzione non ha rimandato le miniere artigianali nella spazzatura nella storia. Questo mito del progresso sembra oggi sottostare ai rovesci della realtà che strappano il velo della derealizzazione. Molte cose che quel mito aveva relegato in un passato che non sarebbe più tornato, stanno oggi prendendo posto in una realtà da cui in fondo non erano mai scomparse del tutto. La guerra irrompe nuovamente nel continente europeo, la penuria diventa visibile negli scaffali dei supermercati, la minaccia dell’annientamento nucleare si aggiunge alle pratiche di genocidio che accompagnano i conflitti, il cambiamento climatico fa avanzare lo spettro della carestia e dello sterminio per sempre più abitanti di questo pianeta agonizzante. In un tale scenario, il sequestro di una tipografia anarchica non dovrebbe sorprenderci. Il tempo in cui si dovevano nascondere le stamperie, immagazzinare discreti stock di carta, organizzare una diffusione sotterranea e capillare delle notizie dalle lotte e dell’approfondimento del pensiero, non è scomparso definitivamente dalla scena della storia. Le condizioni per simili scenari, anche all’ombra delle tolleranti democrazie occidentali, confluiscono sempre più e si accentueranno con l’aumento delle pressioni sociali e l’estensione dello squilibrio sociale.

Ecco perché il sequestro di una tipografia anarchica a Monaco è un affare che ci riguarda tutte e tutti.

[Avis de Tempêtes n. 53, maggio 22, tradotto da Finimondo]

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La pequeña sugerencia de Lagertha

Posted on 2022/05/13 - 2022/05/22 by avisbabel

Erigido en el extremo norte de la isla danesa de Zelanda, el majestuoso castillo de Elsinore controló el estrecho que conduce al mar Báltico durante varios siglos. Si este monumento sigue siendo hoy el orgullo de los lugareños, otros no dejan de recordar con malicia que sigue siendo especialmente conocido fuera de la isla por haber servido de escenario a una célebre tragedia, de la que generalmente solo se conserva el hecho de que ” allí hay algo podrido en el Reino de Dinamarca“. Y lo que es más, ni siquiera se puede contar con noticias recientes para contradecir el viejo adagio de Shakespeare. Al contrario. ¿No es cierto que allí es donde el 3 de junio se aprobó la ley que permite la liberación masiva de solicitantes de asilo del país, subcontratando ahora su “recepción” a terceros países fuera de la Unión Europea mientras estudian el expediente (se está discutiendo con Egipto, Etiopía y Ruanda)? ¿Y no es este territorio del viejo continente el que fue pionero en la imposición a la población de un “Pasaporte COVID” a partir del 21 de abril, obligatorio desde hace más de 15 años en cines, estadios, bibliotecas, bares o incluso… autoescuelas y otros salones de peluquería?

Por otro lado, también es en este país nórdico donde luego resurgió una pequeña sugerencia anónima, ofrecida a todos los manifestantes quemados con poner fin a estas nuevas medidas liberticidas. Una pequeña sugerencia que incluso se repitió dos veces (por si alguien no escuchó correctamente) a unos treinta kilómetros del castillo de Elsinore, tocando precisamente algo podrido del reino de Dinamarca y ‘algún otro lugar’. Se trata nada menos que de desbaratar los controles de identidad de la policía y del código QR sanitario que realiza cualquier otro títere saboteando las ondas que conectan smartphones y tablets a sus imprescindibles bases de datos de todo tipo .

La primera alarma para las autoridades se produjo el 25 de mayo en la localidad de Vejby, cerca de la costa de Kattegat en Zelanda, a unos 50 km al norte de Copenhague. Allí, se desató un incendio nocturno contra una estación base y su edificio adyacente, que cortó a todos los operadores de telefonía móvil de la zona. Pero eso no es todo, ya que las autoridades señalaron de puntillas que la infraestructura carbonizada también albergaba no solo un radar del ejército para la vigilancia del agua (en este caso la Armada), sino también varios equipos de la red encriptada de la policía danesa necesarios para los controles (SINE, SIkkerhedsNettet ) . Los investigadores inicialmente circunspectos se sintieron rápidamente intrigados por la presencia “de un gran agujero en la cerca detrás de la instalación segura “, luego acordonó inmediatamente el área antes de ser rastreado por perros todo el día siguiente.

La segunda alarma se produjo el 15 de julio en la ciudad de Helsinge, a 5 kilómetros de Vejby, cuando una segunda antena retransmisora ​​se convirtió en humo alrededor de las 2:30 am. Una vez más, el fuego mordió los cables entre el edificio que alberga los equipos de telecomunicaciones y la propia antena, antes de trepar por esta última. Las autoridades descontentas afirmaron entonces que “cualquier vínculo con incendios de naturaleza similar también se incluirá en la investigación ” y han vuelto a llamar a los fieles perros (nos referimos a los de cuatro patas) para inspeccionar la zona.

Mientras que los buenos sabuesos daneses, sin duda menos versados en este campo que otros colegas europeos están ahora analizando la teoría humeante de la “autocombustión de antena” -ciertamente cansados ​​de servir a la policía y al control sanitario o de vigilar el teletrabajo- así como en el hecho de que podría ser ” Simplemente sea ​​una extraña coincidencia” , por nuestra parte podríamos arriesgarnos a otra hipótesis. Y un poco más realista, ¡qué diablos!

Para eso, tenemos que volver al mítico skjaldmö de “Vikingos”, estos guerreros con escudos que en ocasiones lucharon por centenares contra los godos o los hunos, según cuenta la historia de las sagas nórdicas. Uno de ellos, quizás el más famoso, se llamaba Lagertha y había ganado el Valhalla hacía varios siglos, cuando de repente comprendió que esperar con Odín la gran catástrofe final era solo una calcomanía milenaria de las tonterías cristianas. Y que incluso si eso significa terminar en este soso siglo XXI en forma de música electrónica, videojuegos, series de televisión o peor aún, fantasías neonazis, también podrías volver directamente a Kattegat para saquear todo lo que lo ha hecho posible. Una vez de regreso en su amada bahía, fue allí, la primavera pasada, donde le disgustó este mundo mediado por más y más apéndices, cada vez más tecnológicos, donde demasiados seres blanden con deleite la pantalla de su propia servidumbre. Lejos de cualquier resignación, se comprometió una vez más a “deslizar el pánico de sus amigos hacia el campo enemigo”, como dijo el odioso monje que una vez escribió su leyenda. Si ciertamente le faltó tiempo para entender las nuevas relaciones sociales en el origen de toda esta mierda, tardó poco en prender fuego con deleite a las dos torres de cables y radares que la rodeaban. Estas estructuras de telecomunicaciones no solo chocaban contra su propia sensibilidad, no solo bloqueaban cualquier horizonte deseable, sino que también proporcionaban concretamente al enemigo los medios de un control difuso permanente, evitándole muchas batallas.

Al enterarse un poco más tarde de lo que el poeta anglosajón había escrito en Hamlet sobre Dinamarca, Lagertha no pudo evitar sonreír. Caminando hasta el borde de las olas, continuó aún más bella, pensando que si ahora todo el planeta estaba afectado por la misma decadencia tecnológica privándonos poco a poco de toda autonomía, el remedio primitivo que acababa de emplear por reflejo en Vejby como en Helsinge, por otro lado, siempre funcionó de maravilla…

(Avis de tempêtes, n. 43-44, 15 de agosto de 2021. Traducido por alasbarricadas)

 

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Colpire dove più nuoce

Posted on 2022/04/28 - 2022/05/21 by avisbabel

Le catene da spezzare

Raggiungi le lunghe macabre radici morbose che l’aratro dimentica,
Scopri le profondità; lascia che i lunghi viticci pallidi consumino tutto per scoprire il cielo; ora niente va bene
A parte gli specchi d’acciaio della scoperta ….
E le magnifiche enormi albe del tempo,
Dopo che saremo morti.
Robinson Jeffers, The broken Balance (1929)

Il poeta americano che ha scritto queste righe era un uomo che non amava la vita in società. Era troppo innamorato della bellezza della natura selvaggia per inchinarsi davanti alle misere realizzazioni della civiltà umana, preferendo la libertà solitaria ad una vita in compagnia degli orrori, dei genocidi e delle devastazioni avvenuti, che considerava segni peculiari della civiltà. Definiva filosofica la sua poesia, che è stata un’importante fonte di ispirazione per il risveglio ecologico degli anni 60, un «disumanesimo»: «Dobbiamo decentrare le nostre menti da noi stessi / Dobbiamo disumanizzare un po’ i nostri punti di vista e diventare più saldi / Come la roccia e l’oceano di cui siamo fatti». Questi richiami risuonano ancora oggi, nelle foreste oscure e nelle valli remote, e forse perfino nei corridoi delle città-prigioni dove più nulla ci collega alla realtà, a parte le merci inebetenti. E se c’è un ostacolo che ancora ci impedisce di voler demolire tutto per non prolungare l’attesa morbosa che ci attanaglia, un ostacolo da rimuovere con urgenza, dobbiamo sicuramente volgerci verso i famigerati miti del progresso, una convinzione del passato che la storia umana avanzi inesorabilmente verso maggiori libertà e felicità. Ormai  è diventato impossibile ignorare che i grandi ecosistemi stanno crollando, o che l’appiattimento e la dipendenza prodotti da un secolo di industrialismo a tappe forzate ci stanno stritolando, e in effetti è sempre dietro la stessa tromba sfiatata del progresso che si schiera ogni adesione alla civiltà.

Giacché una nuova causa a cui aderire ci apre le sue braccia, una nuova prospettiva si delinea infine per l’umanità, una nuova era si preannuncia in pompa magna: la transizione ecologica che farà fronte al cambiamento climatico. L’ennesima appassionata battaglia politica volteggerà contro il pessimismo, quello che acquisisce vigore ogni qualvolta si fanno i conti con la realtà delle cose anziché col loro doppio digitale. La transizione energetica, le nuove tecnologie, la dematerializzazione, il rinverdimento dei processi produttivi hanno già i loro profeti, mentre i capitani chiamati alla riscossa per dirigere le operazioni hanno già preso posto a bordo. Infine, non mancano che le masse, ancora alquanto riluttanti. Perché, malgrado l’adesione entusiasta di folle di consumatori, rimangono la disillusione e il disincanto generati da un mondo ricoperto dal velo tecnologico, da un’artificializzazione esacerbata del mondo sensibile e da una negazione del vivente, che non determinano per forza di cose la produzione di un nuovo consenso così semplice. Nessuno stupore che tale disincanto si possa manifestare allora in tutte le direzioni, e non necessariamente quelle più gratificanti per l’individuo, rivolgendosi magari a mitiche nostalgie di un’approssimativa età d’oro, o al risveglio del fanatismo religioso, fino ad evocazioni più militaresche che auspicano un’accelerazione verso la fine del mondo e l’apocalisse finale.

Nel mondo che conosciamo, né gli squilibri dei mercati mondiali, né le guerre in corso e a venire, né i populismi moderni o i fantasmi divini devono far deviare la megamacchina dalla corsa di velocità in cui è impegnata. La transizione energetica dovrà compiersi con le buone o con le cattive, la terra dovrà essere percossa, trafitta e stritolata ancor più, come mai prima, al fine di estrarvi tutte le materie prime e i metalli necessari per la perpetuazione di questa civiltà mortifera. Le fabbriche dovranno funzionare a pieno regime per inondare il mondo coi loro motori elettrici, i loro circuiti stampati, i loro semiconduttori e i loro nanomateriali. Il fanatismo dei crociati del progresso non è disposto a ritrarsi davanti a niente e a nessuno. Costruiranno dighe per far fronte all’aumento del livello dei mari. Erigeranno nuove centrali nucleari e copriranno la superficie della terra con pannelli solari e pale eoliche per garantire il flusso continuo della corrente elettrica. Svilupperanno procedimenti di rilevamento dei gas responsabili dell’effetto serra per sostituire i «polmoni del pianeta» che sono incessantemente tagliati, rasati e devastati. Tuttavia, di fronte alle forze che si stanno scatenando, tutta la loro ingegnosità e la loro folle fiducia in soluzioni di tipo tecnico serviranno solo a prolungare l’agonia. Non faranno che rendere sempre più improbabile un radicale cambiamento di rotta verso una prospettiva di libertà e di autonomia, all’interno di un cambiamento climatico ormai irreversibile. «Nature bats last», la nature si sta comunque giocando la sua ultima carta.

Davanti a questa vera e propria macchina da guerra, al cui servizio le trombe del progresso continuano ad affermare che la felicità e la libertà si realizzeranno contro la natura, sottomettendola indefinitamente agli imperativi della società umana, altri continuano a sussurrare qui e là che la libertà può solo esistere nella natura. Che l’autonomia non sarà mai compatibile con la dipendenza tecnologica, quale che sia. Che le catene da spezzare sono quelle che la società ci ha imposto di forza nel nome del nostro bene, per la nostra sicurezza, la nostra sopravvivenza o il nostro comfort. Un bene  di cui conosciamo ormai l’incommensurabile prezzo da pagare, a cominciare da quello della nostra libertà.


Colpire dove più fa male

Se qualcuno ti colpisce con un pugno, non puoi difenderti efficacemente colpendo il suo pugno: non puoi ferirlo in questo modo. Per vincere il combattimento, devi colpirlo dove più gli fa male. Il che significa schivare il suo pugno e colpire le parti vulnerabili del corpo dell’avversario.

[…] attaccare il sistema è come colpire un pezzo di gomma. Un colpo di mazza può frantumare la ghisa, dato che è rigida e friabile. Ma si può martellare un pezzo di gomma senza procurargli alcun danno, dato che è flessibile. Ciò contribuisce inizialmente a far scemare la protesta fino a farle perdere forza ed impeto. E il sistema rimbalza all’indietro.
Ecco perché, per colpire il sistema dove più gli possa nuocere, occorre selezionare le questioni che gli impediscono di rimbalzare e per cui combatterà ad oltranza. Ciò  di cui abbiamo bisogno non è scendere a compromessi col potere, bensì di una lotta all’ultimo sangue.
Ted Kaczynski

Il sistema conta più che mai sulle sue capacità elastiche di difesa. Concedere all’occorrenza nuovi diritti flessibili, anche integrando le minoranze, con la soppressione d’altro canto di quelli più arcaici e recuperando qualsiasi slancio inizialmente sovversivo che non sia possibile sradicare: è una delle strade raccomandate dal progetto tecnologico in via di sviluppo nei paesi occidentali. In altri continenti (come in Asia o in America del Sud), lo stesso progetto può perfino assumere tratti più apertamente autoritari, tanto che i conflitti non cessano di esplodere tra i diversi modelli, tra le differenti modalità di gestione e di sviluppo del potere tecno-industriale. Oggi tali conflitti scoppiano in periferia, ma domani potrebbero spuntare anche altrove.

Opporsi alle sole forme che essi assumono senza intaccarne la sostanza, non ha perciò molto senso. Al massimo, ciò porterà solo acqua al mulino di uno dei modelli in conflitto, come il fatto di denunciare superficialmente il controllo tecnologico di cui si serve lo Stato cinese o l’attuale foga guerrafondaia della Russia, facendo supporre che il controllo capillare in vigore su questo versante e le sue molteplici «operazioni anti-terroriste ed umanitarie» attraverso il pianeta siano comunque la cosa meno peggiore da auspicare. Certo, non si può ragionevolmente affermare che combattere in un territorio dominato da uno Stato onnipresente e super-equipaggiato sia equivalente a combattere in un territorio controllato da uno Stato meno aggiornato. Ma questo non impedisce che in ciascuno dei due casi, una delle insidie ​​mortali da evitare è quella di partecipare volontariamente, con le nostre stesse lotte, al riaggiustamento in corso o alla sistemazione del dominio (la cui caricatura risiede sicuramente alle nostre latitudini nelle lotte a favore di tecnologie più inclusive garantite dallo Stato). Ecco perché è il caso di prestare più attenzione, cercando di colpire dove più nuoce, dove il sistema possa riprendersi meno facilmente rimbalzando all’indietro per riconquistare meglio il controllo in seguito. In breve, non dobbiamo solo renderci incontrollabili o ingovernabili, ma essere in grado di puntare direttamente ai suoi angoli morti facendo uno sforzo di analisi e di progettualità.

In diverse occasioni, negli scritti come nei mormorii, negli scambi e nelle osservazioni, le «infrastrutture critiche» sono state identificate come uno dei punti vulnerabili, perché irrorano con dati ed energia, come vene, il corpo della società e suoi organi. Vene che possono essere tranciate, anche da piccoli gruppi dotati di mezzi piuttosto rudimentali. È questo che ci mostra la continuità dei sabotaggi di antenne e ripetitori in diversi paesi europei, con una notevole intensità in alcune regioni come l’Occitania in cui, a partire dall’inizio dell’anno, queste vere e proprie torri di controllo della società tecnologica hanno subìto diversi assalti calorosi a Tolosa (12 gennaio), Renneville (18 gennaio), Lacroix-Falgarde (26 febbraio) o Carbonne (31 marzo), con oltre una decina di strutture di telefonia mobile ridotte in cenere dallo scorso anno nella zona. Per non parlare del fatto che ciò ha indotto gli operatori a dover affrontare alcuni rompicapo tecnici, tipo: come sostituire adeguatamente un traliccio troppo danneggiato e pericolante con antenne provvisorie, senza ritardare ulteriormente il ritorno alla normalità?

Un altro esempio di arterie indispensabili a questa società iper-connessa è dato dalla fibra ottica, attraverso cui corrono i dati che fanno funzionare questo mondo e che è anch’essa oggetto di tagli dolosi e talvolta coordinati in aperta campagna… quando non a pochi metri da un commissariato, come è successo a Quimper lo scorso gennaio, allorché sono stati incendiati due armadi di telecomunicazione. E infine, non possiamo dimenticare altre strutture sempre più prese di mira che garantiscono la continuità del flusso di energia elettrica, quella che fa girare le braccia delle macchine, quella che accende le luci che nascondono le stelle, quella che assicura che tutto funzioni e che tutto vada avanti. Attacchi che hanno colpito stazioni di trasformazione, tralicci dell’alta tensione o armadi di media tensione, causando spesso interruzioni di corrente, alcuni effimeri ed altri più lunghi.

A monte

Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Quelli che di notte sognano nei recessi polverosi delle loro menti, si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini: ma quelli che sognano di giorno sono pericolosi, perché possono mettere in pratica i loro sogni ad occhi aperti, per renderli possibili.

T. E. Lawrence

Sono le 2.40 di lunedì 4 aprile 2022. Nell’industria STMicroelectronics di Crolles, nell’Isère, le macchine si fermano, poi le batterie di emergenza intervengono per ripristinare l’illuminazione, mentre le procedure di sicurezza vengono innescate. L’azienda, la cui produzione è assicurata 24 ore al giorno, è temporaneamente bloccata, il che non è un’inezia, in quanto STMicro è uno dei principali attori mondiali nel settore della produzione di semiconduttori, elementi di base dell’industria tecnologica, settore che con la pandemia da Covid e i problemi di catene logistiche sta attraversando difficoltà a livello mondiale, con una penuria di semiconduttori che ha rallentato la ripresa economica. L’origine del blocco di questa industria così strategica è in un sito dell’alta tensione posto un po’ più lontano, a Froges. Nel recinto di quella stazione elettrica, «alcuni elementi di cablaggio molto precisi sono stati bruciati su un trasformatore», coinvolgendo «all’avvio le linee interrate ad altissima tensione (225.000 volt) che collegano il sito al trasformatore della STMicro a Crolles. Sul posto sono state vergate alcune scritte col simbolo dell’anarchia che prendoo di mira la società ST Microelectronics».

È l’1.44 di martedì 5 aprile. Le luci si spengono nelle città di Crolles e Bernin. Sull’importante zona industriale, la corrente è stata tagliata. Decine di imprese all’avanguardia non sono più alimentate, e presso i due giganti della Silicon Valley di Grenoble, STMicroelectronics e Soitec (rispettivamente con 4300 e 1700 dipendenti), la produzione di semiconduttori e chip elettronici è totalmente ferma. Il blocco è stato provocato dall’incendio doloso di otto linee da 20.000 volt e di una da 225.000 volt sotto il ponte di Brignoud, che attraversa il fiume Isère tra Villard-Bonnot e Crolles. L’incendio è durato diverse ore e ha indebolito la struttura del ponte, importante punto di passaggio per gli automobilisti e i lavoratori della zona industriale del Grésivaudan. Nella zona, sia internet che la telefonia sono stati interrotti. L’indomani vengono installati alcuni generatori di emergenza, una linea elettrica provvisoria viene portata fino alla Soitec per ripristinare una parte della corrente, il che non impedisce il crollo in borsa delle azioni della STMicro e della Soitec.
E comunque il ritorno alla normalità non sarà immediato, giacché «l’industria dei semiconduttori è molto sensibile ai problemi elettrici… Il riavvio della produzione richiede tempo, perché è necessario ispezionare tutte le macchine e riattivarle alla bisogna. Cosa che può richiedere giorni, o anche settimane. Le stanze bianche, utilizzate in particolare nei processi di produzione dell’industria di semiconduttori, dipendono soprattutto da sistemi di ventilazione filtrata e da diversi sensori (temperatura, umidità, ecc.) per assicurare un livello molto basso di concentrazione di particelle e di polveri sospese nell’aria, che occorre essere in grado di ricalibrare in particolare quando vengono riavviati. Per non parlare delle impostazioni delle stesse macchine di produzione, che devono garantire la combinazione di un alto livello di qualità ed una produzione di volume, producendo al contempo in una scala molto piccola, dell’ordine del nanometro». La valutazione dei danni è ancora in corso, ma pare siano quantificati in «decine di milioni di euro», solo per i due giganti dei semiconduttori. Il vicepresidente della Soitec ha anche tenuto a precisare che «Gli incidenti degli ultimi due giorni sono avvenuti all’esterno delle società. Tutti riconoscono che siamo un’industria strategica per il Paese ma vediamo che oggi alcuni atti dolosi, alcuni attacchi riescono a colpire questo settore. La ridondanza delle fonti di energia non è stata sufficiente a proteggerci dato che i malfattori hanno attaccato tutte le linee dell’alimentazione elettrica».
Sono le 15.30 di mercoledì 13 aprile. In 380 aziende del settore delle tecnologie digitali e situate in un’importante tecnopoli dell’agglomerato di Grenoble, Innovallée, la corrente viene tagliata. Un totale di 10.000 clienti tra individui, istituzioni e imprese vengono privati ​​dell’elettricità in 6 comuni. L’origine del blocco temporaneo è in quello che sembra essere un nuovo sabotaggio: all’interno della cinta di una centrale elettrica ad alta tensione di Enedis, un’installazione collocata tra edifici aziendali e l’A41, nel cuore della tecnopoli, un incendio «verosimilmente criminale» ha messo fuori uso «uno dei due gruppi del sito, la cui funzione è di trasformare l’alta tensione in media tensione (20.000 volt)». Secondo Enedis, «la corrente sarebbe stata molto rapidamente ripristinata».

Questi sabotaggi non hanno ovviamente mancato di suscitare le dichiarazioni patetiche delle autorità, accompagnate da appelli ad avere più mezzi affinché la polizia possa acciuffare le persone che la stampa ha definito nell’occasione «sabotatori inafferrabili», non senza aggiungere che «c’è un rimprovero che non può che essere indirizzato ai gruppuscoli anarchici sospettati di essere all’origine delle ultime due azioni dirette contro questo vasto sito di alta tecnologia che è diventato il Grésivaudan: la mancanza di coerenza nella linea di quella che reputano una lotta nobile. Tuttavia, la cosa più importante resta di gran lunga altrove: è il fatto che anche le più grandi industrie, particolarmente sorvegliate e considerate strategiche, possono essere sabotate. Un fatto e un suggerimento operativo che tutti coloro che sognano di giorno di mettere realmente e concretamente i bastoni fra le ruote a ciò che devasta questo mondo e sfrutta la vita potranno forse apprezzare: colpire a monte per colpire dove più nuoce.

[Avis de Tempêtes n. 52, aprile 22, tradotto da Finimondo]

Posted in Italiano

Storm Warnings #51 (March 2022)

Posted on 2022/04/26 by avisbabel

Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 51 (March 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes.

Earlier issues and translations in different languages are available for reading, printing and spreading on the website https://avisbabel.noblogs.org

Storm warnings, issue 51 (March 15, 2022) :

For reading

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“In the course of the wars that have punctuated the last century, and in which companions have been involved, it was also against them that a good number of subversive interventions could be put into practice, according to where they were located. This included the formation of autonomous combat groups (generally decentralized and coordinated), to build networks to help deserters on both sides, to sabotage the military-industrial apparatus behind the fronts, to undermine the mobilization of loyalty and national unity, to exacerbate discontent and defeatism by attempting to transform these wars for the fatherland into insurrections for freedom. We may be told that conditions have changed since those experiments, but certainly not to the extent that we cannot draw on this arsenal if we wish to intervene in hostilities, i.e., starting first with our own ideas and projectualities, rather than the lesser evil of supporting the side and interests of one state against another. For if we are against the peace of the markets, against the peace of authority, against the peace of numbness and servitude, we are obviously also against war. Because peace and war are in reality two terms that cover the same continuity of capitalist exploitation and state domination.”

 

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Storm Warnings #50 (February 2022)

Posted on 2022/04/23 - 2022/04/23 by avisbabel

Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 50 (February 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes.

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Storm warnings, issue 50 (February 15, 2022) :

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“The list would be long of all the assertions of power which already contain an answer based on blindly technical or stupidly managerial solutions in order to prolong the agony of the existent, but it is on the latest one that we chose to linger. A few days ago, it was more or less formulated in the following way to the sheep wishing to choose their shepherd, by the one who is already announced as the future leader of this miserable country: “global warming or nuclear power”?

The idea behind this grotesque farce was in fact to launch colossal energy investments, since the President immediately decided in favor of the construction of six new nuclear reactors for 2035, eight others being studied for 2040, an umpteenth extension of the life span of the current power plants, about fifty offshore wind farms by 2050, dozens of solar farms (ah, the Newspeak)… all this for the tidy sum of 70 billion euros per year for the next three decades. Well, let’s say it right away, not only are these not “decarbonized” energy sources regarding global warming, but the main purpose of this state plan is to
officially
increase electricity production by 2050 by 60% compared to its current level. This in fact corresponds to the forced march of domination towards a massive electrification
of the economy, where digitization coupled with artificial intelligence in all sectors are figureheads, just like electric vehicles.
”

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Storm Warnings #49 (January 15, 2022)

Posted on 2022/04/16 by avisbabel

Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 49 (January 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes.

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Storm warnings, issue 49 (January 15, 2022) :

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“In the end, on reflection, there is nothing new under the sun. Since the emergence of cities, economic power has basically always walked on the same two feet: energy and extraction. From slavery to nuclear power, economic progress adds up the energy sources that give more and more power to the dominant, and vice versa, because it is the exploitation of energy sources that directly fuels domination. Just as the extraction of oil has released a massive energy force, millions of years old, giving unprecedented dimensions to industrialism and war on a
global scale, the digital and electrified economy depends on the speed of extraction of the metals it needs. This is how the front lines are drawn, where terrible battles are and will be fought.”

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Kriegslogiken

Posted on 2022/03/25 - 2022/03/25 by avisbabel

Seite beziehen. Wenn während des ersten Weltkriegs die furchtbare Stellungnahme von Kropotkin für den Sieg eines Teils der Krieg führenden Staaten im Namen der emanzipatorischen Hoffnung selbst berühmt geworden ist, trotz der damaligen Antworten anderer Anarchisten darauf, so liegt das zweifelsohne daran, dass sie das immer mögliche Versagen des Internationalismus und des Antimilitarismus verkörpert. Eine nicht mal originelle, Seite beziehende Position, da die damals wesentlichen sozialistischen Parteien und Arbeitergewerkschaften bereits den Sirenen der nationalen Einheit verfallen waren und sich hinter ihren eigenen kriegstreibenden Staaten eingereiht hatten. Auch wenn es absurd wäre zu vergessen, dass einige Anarchisten manchmal unter Zugzwang ins Wanken gerieten – auch in anderen Situationen wie etwa im Bürgerkrieg (erinnern wir uns an das Dilemma „Krieg oder Revolution?“, in dem die spanische CNT sich für ersteres aussprach) –, wäre es trotzdem etwas voreilig, nur das in Erinnerung zu behalten.

Im Laufe der Kriege, die im letzten Jahrhundert geführt und in die die Gefährten verwickelt wurden, konnten auch zahlreiche subversive Interventionen kompromisslos gegen diese gerichtet umgesetzt werden, angepasst an den Ort, an dem sich die Gefährten befanden, wie etwa autonome (normalerweise dezentralisierte und koordinierte) Kampfgruppen zu bilden, Hilfsnetzwerke für Deserteure beider Seiten aufzubauen, Sabotagen gegen den militaro-industriellen Apparat hinter der Front zu verüben, die Mobilisierung der Menschen zu untergraben und die nationale Einheit zu sprengen, die Unzufriedenheit und die Kriegsverdrossenheit zu schüren und zu versuchen, diese Kriege für das Vaterland in Aufstände für die Freiheit zu verwandeln. Man wird uns vielleicht entgegnen, dass die Umstände sich seit diesen Experimenten stark verändert hätten, aber sicherlich nicht zu dem Punkt, dass man nicht mehr aus diesem Arsenal schöpfen könnte, wenn man in diese Feindlichkeiten hineinintervenieren möchte, d. h. indem man zuerst von den eigenen Ideen und Projektualitäten ausgeht als vom geringeren Übel, das darin besteht die Seite und die Interessen eines Staates gegen einen anderen zu unterstützen. Denn wenn wir gegen den Frieden der Herrschaft sind, gegen den Frieden der Verdummung und des Gehorsams, sind wir natürlich auch gegen den Krieg. Weil Krieg und Frieden tatsächlich zwei Begriffe sind, die eine gleiche Kontinuität der kapitalistischen Ausbeutung und der staatlichen Herrschaft abdecken.

Energie. Unter den verschiedenen großspurig angekündigten Sanktionspaketen, die von den westlichen Staaten verhängt wurden, um ihren russischen Gegenspieler an seinem Kopf und seiner Basis zu treffen, hätte jeder die ausgefeilten kleinen Betrügereien bemerken können. Unter den gewichtigen Ausnahmen dieser Sanktionen (die momentan ihre vierte Salve abfeuern) befinden sich momentan tatsächlich die russischen Exporte energetischer (Erdöl und Gas) und bergbaulicher Rohstoffe. Und das trifft sich gut, da Russland 40 % des Palladiums und 25 % des Titans auf der Welt produziert, der weltweit zweitgrößte Produzent von Aluminium und Gas ist, sowie der drittgrößte von Nickel und Erdöl. Alles Stoffe, deren Kurse seit dem Beginn der Invasion in das ukrainische Gebiet explodieren, sodass Russland noch mehr Einnahmen abgreift… die ihm übrigens hauptsächlich von den Mächtigen derselben Länder verschafft werden, die ununterbrochen humanistische Schreckensschreie aufgrund der momentanen Situation ausstoßen. Um nur ein Beispiel zu nennen: seit Kriegsbeginn zahlt die Europäische Union Russland täglich 400 Million Dollar für sein Gas und etwa 280 Millionen Dollar für sein Erdöl, deren Zahlungen die beiden Banken in Empfang nehmen, die von den Finanzsanktionen verschont wurden (und das aus guten Gründen!), die Sberbank und die Gazprombank. Die enormen Summen von all dem Rest, der für die westliche Automobilindustrie (Palladium), Aeronautik und Verteidigung (Titan) und die westlichen elektrischen Batterien (Nickel) unerlässlich ist, ersparen wir euch an dieser Stelle mal.

Wenn man sagt, dass der Krieg hier beginnt, dann ähnelt das häufig einem einfachen Wiederkäuen eines alten ideologischen Slogans des letzten Jahrhunderts, doch wenn heute jemand auf die Idee käme sich zu fragen, wer tatsächlich den russischen Angriff finanziert, könnte er sich denselben zuwenden, die die Gegenseite, die ukrainische Verteidigung, finanzieren: es handelt sich um das techno-industrielle System der westlichen Staaten, das für so eine Kleinigkeit nicht aufhören wird in vollen Touren zu laufen, insbesondere da der Krieg, die Massaker und die Zerstörungen auf dem Planeten bereits intrinsisch Teil seiner Funktionsweise sind.

Und um die Ironie perfekt zu machen, gibt es unterschiedliche Interessen, von denen die beiden Kriegsparteien sich tunlichst hüten, diese in diesem mörderischen Krieg aufs Spiel zu setzen, um ihren gemeinsamen westlichen Financiers nicht zu schaden: die zwei gigantischen Gaspipelines Brotherhood und Soyouz, die aus Russland kommen und anschließend das ganze ukrainische Gebiet durchqueren, ehe sie in Richtung Deutschland und Italien abzweigen. Ähnlich verhält es sich auch damit, dass keine der beiden Kriegsparteien andere ebenso für die nationale Wirtschaft empfindliche Ziele anzurühren wagt, weil sie lebenswichtig für die aeronautischen Industrien der europäischen Verteidigung sind (insbesondere Airbus und Safran), wie die Titanfabrik der Gruppe VSMPO-Avisma, die sich in der immer noch unter ukrainischer Kontrolle stehenden Stadt Nikopol befindet, und trotzdem direktes Eigentum des Hauptexporteurs des russischen militaro-industriellen Komplexes Rosoboronexport ist. Das, was wie ein Paradoxon wirken könnte, ist in Wirklichkeit nur die bittere Illustration einer der Charakteristiken zwischenstaatlicher Kriege: auch wenn sie sie ohne zu zögern im Namen des nationalistischen, religiösen oder ethnischen Hasses vom Zaune brechen, sind es selten die Mächtigen, die dafür zahlen müssen – da sie offensichtlich in der Lage sind sich wenn nötig untereinander zu einigen –, sondern die Bevölkerungen, die alle mörderischen Konsequenzen erleiden müssen. Ein bisschen wie der Umstand, dass Frankreich Russland von 2014 bis 2020 weiterhin mit Wärmebildkameras beliefert hat, um seine Panzer auszustatten, die momentan im Krieg in der Ukraine eingesetzt werden, oder mit Navigationssystemen und Infrarotdetektoren für seine Jagdflieger und seine Helikopter, während Frankreich nun die Ukraine mit Luft- und Panzerabwehrraketen ausstattet. Was die Energie wie das militärische Equipment betrifft, sind die Financiers und die Profiteure des Krieges ebenfalls hier, und hier ist es auch, wo wir sie bekämpfen können.

Einer der Vorteile der Bildung kleiner autonomer Gruppen, die über ihre Ziele wie über ihre Zeitlichkeit – für jene hier, die den Krieg mit einem anderen Blick betrachten, und jene, die woanders nicht die Gelegenheit zur Flucht haben oder sich freiwillig dafür entscheiden zu bleiben –selbst entscheiden, könnte also beispielsweise in der Sabotage der gemeinsamen kapitalistischen und strategischen Interessen der Herrscher beider Staaten und ihrer Verbündeten liegen, die so anschließend weder dem einen noch dem anderen von Nutzen sein können, egal wer der Sieger ist. Gewiss, eine andere Möglichkeit, die aber keineswegs vom Himmel fallen kann angesichts der Schwierigkeiten, die es zu meistern gilt, was eventuell bedarf, dass sie bereits vorher entwickelt und vorbereitet wurde, insbesondere mithilfe organisationeller Werkzeuge, die das Teilen von Bemühungen, Wissen und adäquaten Mitteln erleichtern. Diese alte Frage der Interessen im Spiel hat übrigens bereits die Netzwerke französischer Widerstandskämpfer unter der deutschen Besatzung beschäftigt, deren Kommando wie das der anglo-amerikanischen Dienste selbstverständlich darauf bestand, dass ihre Industriesabotagen von jenem sensiblen Standort oder jener Struktur auf jeden Fall behebbar bleiben müssten, sodass die Produktion des Feindes nur verlangsamt wurde, oder dass sie nur Ziele zerstören, die für das zukünftige Neustarten des Landes nicht kritisch sind.

Subjekte. In diesem schmutzigen Krieg, in dem momentan intensive Kämpfe in städtischen Zonen vermieden werden, ist die russische Armee seit mehreren Wochen damit beschäftigt mehrere Städte einzukreisen und intensiv zu bombardieren, einer Taktik gemäß, die sich bereits in Aleppo bewährt hat. In Mariupol beispielsweise, wo 300 000 Personen belagert unter fürchterlichen Bedingungen überleben, haben viele auf ihre Kosten verstehen müssen, dass sie in Wirklichkeit unter dem Feuer beider Staaten als Geiseln genommen wurden. Inmitten der zerstörten Gebäude ist es so ihre eigene Armee, der zahlreiche kleine Gruppen von hungernden Zivilisten entgegentreten müssen, wenn sie sich aus ihren Unterschlüpfen wagen, um in den verlassenen Geschäften nach Nahrungsmitteln zu suchen.

Um sein Monopol in den Ruinen aufrechtzuerhalten und weiterhin jegliche Ressource prioritär den bewaffneten Männern zukommen zu lassen, hat der ukrainische Staat also den Freiwilligen der Brigaden der Territorialen Verteidigung (Teroborona) nicht nur die Aufgabe übertragen, seine kritischen Infrastrukturen in zweiter Linie zu verteidigen, sondern auch jene, die öffentliche Ordnung aufrechtzuerhalten, was beispielsweise die Plünderungsversuche der Verzweifelten umfasst. Für einen Staat, der das Kriegsrecht ausgerufen hat, während er in den bombardierten Städten kontrollierte Formen der Selbstorganisierung, die erlauben die eigenen Mängel zu ergänzen, wesentlich toleriert, sei es natürlich die patriotische Pflicht, auf die einem zugestandenen Krümel mit leerem Bauch zu warten, während man das Wasser aus den Heizkörpern trinkt, da es wohlbekannt ist, dass Plünderungen des allerheiligsten verlassenen Eigentums nur von feindlichen Soldaten oder von Verrätern kommen kann, wie es die täglichen Befehle einhämmern. Und über die tragische Situation in Mariupol hinaus handelt es sich um dieselbe Logik, die in der Hauptstadt Kiew, während sie immer weiter von den russischen Truppen eingekreist wird, zur Anwendung kommt, diesmal mit Ausgangssperren, bei der die letzte nicht mehr nächtlich war, sondern 36 Stunden am Stück umfasste, um der Armee und der Polizei die Priorität zu geben, und in der man „jede Person, die sich in diesem Zeitraum auf der Straße befindet, als Mitglied von Gruppen feindlicher Saboteure“ betrachtete, mit allen Konsequenzen, die das mit sich zieht.

Auch hier ist die Feststellung, dass der Staat seinen eisernen Arm in Kriegszeiten noch mehr als in Friedenszeiten nicht nur auf den Geist, sondern auch auf die Körper all seiner Subjekte auflegt, nicht nur eine abgedroschene Phrase: Kanon- oder Bombenfutter, auf der Suche nach Essen oder nach Komplizen, um sich außerhalb des staatlichen Joches selbst zu organisieren, oder auch nur um eine andere Luft zu atmen als die in der Enge der Unterschlüpfe oder um sich selbst ein Bild zu machen, jeder Individualität wird befohlen, sich auf dem Schachbrett der zwei anwesenden Armeen freiwillig oder mittels Zwang aufzulösen. Eine Situation, die sich offensichtlich bis an die westlichen Grenzen der Ukraine erstreckt, die mehr als drei Millionen Flüchtende bereits überquert haben… nachdem sie penibel kontrolliert wurden, um alle wehrfähigen Männer zwischen 18 und 60 Jahren unter ihnen zu entfernen. Während sich eine Welle der Unterstützung der Familien auf beiden Seiten der Grenze ausgebreitet hat, betrifft einer der bemerkenswertesten Aspekte jedoch die feine Solidarität mit jenen, die sich weigern zu kämpfen und nicht die Möglichkeit haben den korrupten ukrainischen Grenzern 1500 € zu zahlen, die gerade anfängt sich trotz der Feindseligkeit eines Teils der Bewohner zu bilden. Insbesondere durch das Verteilen gefälschter Atteste und Spenden biometrischer Pässe, das einzige offizielle Dokument, das in Ungarn oder in Rumänien während der ersten zwei Wochen des Konflikts akzeptiert wurde, um die Geflüchteten ihr Territorium betreten zu lassen.

Sortieren, auswählen, piorisieren, registrieren, klassifizieren, um an den Grenzen die guten Armen von den schlechten Armen (ihre Nationalität eingeschlossen, wie es die Staatsangehörigen von afrikanischen Ländern am eigenen Leib erfahren mussten) zu trennen, ist natürlich keine Besonderheit des ukrainischen Staates in Kriegszeiten, sondern die Kontinuität einer weitläufigen Hölle der zwischenstaatlichen Zusammenarbeit, ökonomischen Kuhhandels und geostrategischer Imperative. Das ist der Grund, aus dem die einen dazu verurteilt werden im Mittelmeer zu ertrinken, die anderen in den Lagern des UNHCR zu vegetieren, um in benachbarten Territorien festgehalten zu werden, und die letzten glorreich ihrem Vaterland zu dienen oder als Lohnsklaven in reichen Ländern, die immer auf der Suche nach ausbeutbarer Arbeitskraft zu einem Spottpreis sind. Denn letzten Endes rührt die Grausamkeit der Herrschaft – die sich nie so sehr enthüllt wie in Kriegen, im Elend und den Massakern, die sie hervorruft – zuerst vielleicht davon her: ihrem intrinsischen Anspruch, als Herrin im Namen ihrer eigenen Interessen auf dem Gebiet, das sie kontrolliert, zu herrschen, und zu versuchen jedes Lebewesen, das sie beherrscht, in austauschbare Subjekte zu verwandeln, zum Preis ihrer Vernichtung als Individuen.

Dringlichkeit. Seit Jahren schon werden Wellen von Bedrohungen aus allen Windrichtungen hochgehalten und instrumentalisiert, um die Angst innerhalb einer immer militarisierteren Verwaltung des sozialen „Friedens“ zu destillieren: Terrorismus, Naturkatastrophe, Covid-19… oder nun die mögliche nukleare Entfesselung in der Ausweitung des Konflikts an den Außengrenzen Europas. Und natürlich wird die kleine Musik des xten Opfers, das gebracht werden muss, um in Reih und Glied hinterm Staat zuzustimmen, immer schriller. Doch ist es im Grunde vielleicht wahr, dass es etwas zu opfern gäbe, ohne dass man dafür tausende Kilometer zurücklegen muss. Denn dieses weitläufige System des Todes im großen Maßstab, wird es nicht von einer Energie, einer Industrie, Transporten, Kommunikationen und einer Technologie genährt, die täglich vor unserer Nase vorbeiziehen? Den Krieg der Welt zurückzugeben, die ihn hervorbringt, indem man seinen Nachschub unterbricht, wäre also eine andere Art und Weise, um die Reihen des Feindes zu durchbrechen, indem man überall den Konflikt gegen ihn verbreitet.

Avis de Tempêtes #51, 15. März 2022. Übersetz aus dem Französischen von Zündlappen.

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Logiche di guerra

Posted on 2022/03/25 - 2022/03/25 by avisbabel
Campismo. Se al tempo della prima macelleria mondiale è divenuta celebre la terribile presa di posizione di Kropotkin in favore della vittoria di una parte degli Stati belligeranti e in nome della stessa speranza di emancipazione, ciò è avvenuto probabilmente perché essa incarnava il fallimento dell’internazionalismo e dell’antimilitarismo, malgrado le risposte date da altri anarchici. Una scelta di campo nemmeno originale, dal momento che i principali partiti socialisti e sindacati operai dell’epoca avevano dal canto loro già ceduto alle sirene dell’Unità nazionale, allineandosi dietro il proprio Stato bellicista. Pur essendo assurdo dimenticare che talvolta alcuni anarchici hanno vacillato sentendosi con le spalle al muro, e ciò si è verificato anche in altri tipi di situazioni come le guerre civili (ricordiamoci del dilemma «guerra o rivoluzione?» risolto a favore della prima da parte della direzione della CNT spagnola), sarebbe tuttavia affrettato limitarsi a considerare solo questo aspetto.
Nel corso delle guerre che hanno costellato lo scorso secolo, ed in cui sono stati coinvolti i compagni, è anche malgrado e contro di esse che sono stati messi in pratica molti interventi sovversivi a seconda del luogo in cui i compagni si trovavano: sono stati costituiti gruppi di combattimento autonomi (generalmente decentrati e coordinati), costruite reti di sostegno ai disertori dei due campi, realizzati sabotaggi del dispositivo militare-industriale nelle retrovie, indebolita la mobilitazione degli animi e minata l’unità nazionale, esacerbato lo scontento ed il disfattismo nel tentativo di trasformare quelle guerre per la patria in insurrezioni per la libertà. Magari ci verrà detto che le condizioni sono assai cambiate dall’epoca di quegli esperimenti, ma certo non al punto di non poter attingere a quell’arsenale se si desidera intervenire nelle ostilità, vale a dire partendo innanzitutto dalle nostre idee e progettualità, piuttosto che dal male minore che consiste nel sostenere il campo e gli interessi di uno Stato contro un altro. Perché, se siamo contro la pace dei mercati, contro la pace dell’autorità, contro la pace dell’abbrutimento e della servitù, siamo ovviamente anche contro la guerra. Perché pace e guerra sono in realtà due termini che rivestono una medesima continuità dello sfruttamento capitalista e del dominio statale.

Energia. Tra i vari pacchetti di pompose sanzioni stabilite dagli Stati occidentali per colpire il loro omologo russo, alla testa come alla base, si saranno potuti notare alcuni evidenti trucchi. Tra le grosse eccezioni a queste sanzioni (che sono alla loro quarta raffica), troviamo infatti le esportazioni russe di materie prime energetiche (petrolio e gas) e minerarie. E ciò capita a proposito, dato che la Russia produce il 40% del palladio e il 25% del titanio del mondo, essendo tra l’altro il secondo più grande produttore mondiale di alluminio e di gas, così come il terzo di nichel e di petrolio. Tutte materie i cui prezzi si sono impennati a partire dall’inizio dell’invasione del territorio ucraino, procurando maggiori entrate monetarie alla Russia… che d’altronde le vengono fornite in gran parte dai potenti degli stessi paesi che emettono incessantemente grida di sdegno umanitario riferendosi alla situazione attuale. A titolo di esempio, dall’inizio di questa guerra l’Unione europea versa ogni giorno alla Russia più di 400 milioni di dollari per il gas e quasi 280 milioni per il petrolio, incassati direttamente attraverso le due banche risparmiate dalle sanzioni finanziarie (e non a caso!), ovvero Sberbank e Gazprombank. E vi risparmiamo i giganteschi importi di tutto il resto, indispensabile sia all’industria automobilistica occidentale (palladio), che alla sua aeronautica e alla difesa (titanio) o alle batterie elettriche (nichel).
Quando si dice che la guerra comincia qui, spesso sembra una semplice rielaborazione di un vecchio slogan ideologico del secolo scorso, ma se qualcuno arrivasse oggi a chiedersi chi finanzia di fatto l’attacco russo, dovrebbe volgersi precisamente verso gli stessi che finanziano il campo avversario, vale a dire la difesa ucraina: si tratta in particolare del sistema tecno-industriale degli Stati occidentali, che non smetterà di girare a pieno regime per così poco, visto che la guerra, i massacri e le devastazioni sul pianeta fanno già intrinsecamente parte del suo funzionamento.
Per colmo d’ironia, esistono allora interessi diversi che i due Stati belligeranti si guardano bene dal mettere in mostra in questa guerra assassina, per non danneggiare i loro comuni finanziatori occidentali: i due enormi gasdotti Brotherhood e Soyuz provenienti dalla Russia, che attraversano poi tutto il territorio ucraino, prima di dirigersi verso la Germania e l’Italia. Un po’ come nessuno dei due belligeranti vuole toccare altri obiettivi sensibili per la propria economia nazionale quanto vitali per le industrie aeronautiche della difesa europea (soprattutto Airbus e Safran), vedi la fabbrica di titanio del gruppo VSMPO-Avisma situata nella città ancora sotto controllo ucraino di Nikopol, e tuttavia proprietà diretta del principale esportatore del complesso militare-industriale russo, Rosoboronexport. Quel che potrebbe sembrare un paradosso è in realtà l’amara illustrazione di una delle caratteristiche delle guerre inter-statali: sebbene le scatenino spudoratamente attraverso l’odio nazionalista, religioso o etnico, raramente sono i potenti a farne le spese — essendo ovviamente in grado di accordarsi fra loro in caso di necessità — ma sono le popolazioni a subirne le conseguenze mortali. Un po’ come la Francia che ha continuato a fornire alla Russia tra il 2014 e il 2020 dalle telecamere termiche per attrezzare i suoi veicoli blindati attualmente utilizzati nella guerra in Ucraina, ai sistemi di navigazione e ai rilevatori ad infrarossi per i suoi aerei da caccia e i suoi elicotteri, pur rifornendo l’Ucraina di missili anti-aereo e anti-carro. In materia di energia come di equipaggiamento militare, i finanziatori e i profittatori della guerra sono ugualmente qui, ed è anche qui che si possono combattere.
Uno dei vantaggi della creazione di piccoli gruppi autonomi che decidano contemporaneamente i loro bersagli e i loro tempi — per chi qui guardasse la guerra con un altro occhio o altrove non avesse l’opportunità di fuggire o decidesse volontariamente di restare — può quindi consistere ad esempio nel sabotaggio degli interessi capitalisti e strategici comuni ai leader dei due Stati e dei loro alleati, non potendo più servire in seguito né all’uno né all’altro, quale che sia il vincitore. Un’altra possibilità certo, ma che però non può cadere dal cielo viste le difficoltà da affrontare, richiede forse di essere già sviluppata e preparata prima, in particolare con l’aiuto di strumenti organizzativi che facilitino la condivisione di sforzi, conoscenze e mezzi adeguati. Questa vecchia questione degli interessi in gioco già agitava del resto le reti dei partigiani francesi sotto l’occupazione tedesca, il cui comando come i servizi anglo-americani insistevano ovviamente sul fatto che i loro sabotaggi industriale di tali siti e strutture sensibili restassero soprattutto reversibili limitandosi a rallentare la produzione nemica, o distruggevano solo obiettivi non-critici alla futura ripresa del paese.

Sudditi. In questa sporca guerra, in mancanza di impegnarsi per il momento in intensi combattimenti in zona urbana, l’esercito russo procede da diverse settimane all’accerchiamento e a pesanti bombardamenti di diverse città, secondo una tattica già provata ad Aleppo. A Mariupol, per esempio, dove 300.000 persone sopravvivono assediate in condizioni terribili, molti hanno dovuto capire a proprie spese che erano in realtà presi in ostaggio sotto il fuoco di entrambi gli Stati. In mezzo ad edifici sventrati, è il proprio esercito che molti gruppetti di civili affamati devono affrontare uscendo dai rifugi per andare in cerca di cibo nei negozi abbandonati.
Al fine di mantenere il suo monopolio sulle rovine e di continuare ad assegnare con priorità ogni risorsa agli uomini in armi, lo Stato ucraino ha quindi affidato ai volontari delle brigate di Difesa territoriale (Teroborona) non solo il compito di proteggere in seconda linea le sue infrastrutture critiche, ma anche di preservare l’ordine pubblico, che riguarda ad esempio i tentativi di saccheggio dei disperati. Per uno Stato che ha decretato la legge marziale tollerando, principalmente nelle città bombardate, forme di auto-organizzazione inquadrate che consentano di supplire alle proprie carenze, il dovere patriottico sarebbe beninteso di aspettare le sue briciole a pancia vuota bevendo l’acqua dei radiatori, essendo risaputo che i saccheggi della sacrosanta proprietà abbandonata possono essere effettuati solo da soldati nemici o da traditori, come scandiscono i suoi ordini del giorno. E al di là della tragica situazione di Mariupol, è la stessa logica messa in atto nella capitale Kiev accerchiata man mano dalle truppe russe, questa volta con dei coprifuoco, l’ultimo dei quali in ordine di tempo non più notturno ma di 36 ore continue per dare priorità all’esercito e alla polizia, che considerano «tutte le persone che si trovano in strada durante questo periodo come membri dei gruppi di sabotatori nemici», con le conseguenze che questo comporta.
Anche qui, affermare che in tempo di guerra lo Stato si impone col pugno di ferro ancor più che in tempo di pace non solo sulle menti ma anche sui corpi di tutti i suoi sudditi, non è una semplice banalità trita e ritrita: carne da cannone o carne da bombardamento, alla ricerca di cibo o di complici per auto-organizzarsi al di fuori della morsa statale, cioè semplicemente per respirare un’altra aria rispetto alla promiscuità dei rifugi o per comprendere la situazione da sé, ogni individualità è indotta ad annullarsi volente o nolente sulla scacchiera dei due eserciti che si fronteggiano. Una situazione che ovviamente si estende fino ai confini occidentali dell’Ucraina, che più di tre milioni di rifugiati hanno già oltrepassato… dopo essere stati debitamente controllati per scartarne tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni idonei al servizio. Se un’ondata di mutuo appoggio con le famiglie si è diffusa su entrambi i lati del confine, uno degli aspetti più rimarchevoli concerne tuttavia la tenue solidarietà che comincia ad instaurarsi, nonostante l’ostilità di una parte degli abitanti, verso coloro che rifiutano di combattere e non hanno la possibilità di pagare 1500 euro alle corrotte guardie delle frontiere ucraine. In particolare, grazie alla compilazione di falsi certificati medici o all’assegnazione di passaporti biometrici, unico documento ufficiale accettato in Ungheria o in Romania durante le prime due settimane del conflitto per far entrare i rifugiati nel proprio territorio.
Smistare, selezionare, dare priorità, registrare, classificare per separare alle frontiere i poveri buoni da quelli cattivi (anche a seconda della loro nazionalità, come hanno constatato sulla propria pelle i cittadini dei paesi africani), non è ovviamente una specificità dello Stato ucraino in guerra, ma la continuità di un vasto inferno di collaborazioni inter-statali, di contrattazioni economiche e di imperativi geo-strategici. Così gli uni sono condannati ad annegare nel Mediterraneo, altri a marcire nei campi Onu per i Rifugiati al fine di essere smistati nei vicini territori, e gli ultimi a servire gloriosamente la loro patria o come schiavi salariati nei paesi ricchi sempre in cerca di manodopera a basso costo da sfruttare. Perché in fin dei conti la ferocia del potere — che non si rivela mai tanto quanto nelle guerre, nella miseria e nei massacri che genera — consiste forse anzitutto in questo: la sua intrinseca pretesa di spadroneggiare in nome dei propri interessi nel territorio che controlla, cercando di trasformare ogni essere che comanda in suddito sostituibile, a costo del suo annientamento come individuo.

Emergenza. Da diversi anni ondate di minacce vengono brandite e strumentalizzate ad ogni pie’ sospinto per distillare la paura, all’interno di una gestione sempre più militarizzata della «pace» sociale: terrorismo, catastrofi ecologiche, Covid-19… o una ormai possibile deflagrazione nucleare nell’estensione del conflitto che brucia ai confini dell’Europa. E, naturalmente, il ritornello degli ennesimi sacrifici da accettare in fila dietro lo Stato diventa anche qui ogni giorno più stridente. Ma nella sostanza, forse è vero che ci sarebbe qualcosa da sacrificare senza neppure aver bisogno di percorrere migliaia di chilometri. Giacché, tutto quel vasto sistema di morte su larga scala non è forse alimentato da un’energia, un’industria, dei trasporti, delle comunicazioni e una tecnologia che scorrono tutti i giorni proprio sotto i nostri occhi? Rimandare la guerra al mondo che la produce interrompendo il suo rifornimento, può essere allora un altro modo di rompere i ranghi del nemico, sparpagliando dovunque il conflitto contro di lui.

[Avis de Tempêtes n. 51, 15/3/22, tradotto da Finimondo]
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Storm warnings #48 (December 15, 2021)

Posted on 2022/03/22 by avisbabel

Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 48 (December 2021) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes.

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Storm warnings, issue 48 (December 15, 2021) :

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“The world accelerates. What resists is being trampled by the great leap forward. If it becomes clearer every day that climate change has become irreversible, the pressure in the boilers of the infernal hull of this Titanic civilization rises, fueled by the illusion that further technical developments can restore the disturbed balances. On the side of the rebels, we are still too slow to face this reality and to draw the consequences of this, however tentative, for our actions and our perspectives of struggle. However, the die is cast and it is from here that we will have to reflect.”

2.11.0.0
Posted in English

Storm warnings #47 (Novembre 15, 2021)

Posted on 2022/03/07 by avisbabel

 

Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 47 (November 2021) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes.

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Storm warnings, issue 47 (November 15, 2021) :

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“In fact, there is of course a close connection between ecological devastation, war for resources or technological restructuring
that produces millions of superfluous human beings, and the displacement of populations that essentially takes place from one poor country to another. In the same way that anger against the dispossession of our lives finds a convenient path in the hatred of a fantasized Other, or that the violence of borders is also deployed without mercy within a territory. Both in the form of a hierarchy between the poor and miserable that only reinforces the social organization of exploitation and domination, and of an extension of the devices of control used against everyone.”

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    Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 57-58 (October 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes. Storm warnings, issue 57-58 (October 15, 2022) : For reading For printing (A4) For printing (Letter)   “Europe is overflowing with hundreds of billions of dollars… Read more: Storm Warnings # 57-58 (October 2022)
  • E se tornassimo indietro…
    Le nubi che si profilavano nell’autunno del 2017 non erano le più favorevoli per intraprendere lunghe passeggiate. Eppure è stato nel corso di quei mesi piovosi, durante scambi e discussioni animati, esitazioni e fantasticherie, che l’idea di un bollettino anarchico periodico su carta è infine maturata. Più che una rivista… Read more: E se tornassimo indietro…
  • Romper el círculo
    En este verano, que ha superado viejos récords de temperatura, muchos habitantes que exportan su oro azul por todo el mundo han conocido un problema que creían reservado a territorios lejanos mas pobres : el racionamiento de agua. De Alta Saboya a Aveyron decenas de pueblos han recibido aprovisionamiento de… Read more: Romper el círculo
  • Herencias mortíferas
    En 221 a.c., el señor de la guerra Ying Zheng concluye la unificación de China y funda la dinastía Qin, de la que se proclama emperador. Después de enviar sus tropas a repeler las tribus demasiado salvajes del norte, ordenó la construcción de una serie de fortificaciones militares mas allá… Read more: Herencias mortíferas
  • Storm Warnings #55-56 (August 2022)
    Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 55-56 (August 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes. Earlier issues and translations in different languages are available for reading, printing and spreading on the website https://avisbabel.noblogs.org Storm warnings, issue 55-56 (August 15, 2022) :… Read more: Storm Warnings #55-56 (August 2022)
  • El corte es posible
    Si el silencio da miedo, puede ser porque la ausencia de ruidos familiares tiene tendencia a devolvernos a nosotrxs mismxs. Avanzando en la oscuridad silenciosa, es común hablarse a unx mismx, chiflar un estribillo, pensar en voz alta para no encontrarse presa de la ansiedad. Esto no es tan fácil,… Read more: El corte es posible
  • Storm Warnings #54 (June 2022)
    Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 54 (June 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes. Earlier issues and translations in different languages are available for reading, printing and spreading on the website https://avisbabel.noblogs.org Storm warnings, issue 54 (June 15, 2022) :… Read more: Storm Warnings #54 (June 2022)
  • Hijos de Eichmann?
    Hemos de abandonar definitivamente la esperanza ingenuamente optimista del siglo XIX de que las «luces» de los seres humanos se desarrollarían a la par que la técnica. Quien aún hoy se complace en tal esperanza no es sólo un supersticioso, no es sólo una reliquia de antaño. […] Cuanto más… Read more: Hijos de Eichmann?
  • Economía de guerra
    En Bihar, uno de los estados más pobres y poblados de la India, la gota que colmó el vaso fue el miércoles 15 de junio, antes de extenderse a otras regiones, cuando miles de manifestantes comenzaron a atacar los intereses del Estado en una docena de ciudades. En Nawada, se… Read more: Economía de guerra
  • Figli di Eichmann?
    «L’ingenua speranza ottimistica del diciannovesimo secolo, quella secondo cui con la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la “chiarezza” dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in una tale speranza, non solo è un semplice superstizioso, non solo è un semplice relitto dell’altroieri […] quanto più alta è… Read more: Figli di Eichmann?
  • Storm Warnings #53 (May 2022)
    Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 53 (May 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes. Earlier issues and translations in different languages are available for reading, printing and spreading on the website https://avisbabel.noblogs.org Storm warnings, issue 53 (May 15, 2022) :… Read more: Storm Warnings #53 (May 2022)
  • Storm Warnings #52 (April 2022)
    Storm warnings, anarchist bulletin for the social war, issue 52 (April 2022) came out. It is the full English translation of Avis de Tempêtes. Earlier issues and translations in different languages are available for reading, printing and spreading on the website https://avisbabel.noblogs.org Storm warnings, issue 52 (April 15, 2022) :… Read more: Storm Warnings #52 (April 2022)
  • Todas e todos implicados
    Na primeira luz do amanhecer, um caminhão de 40 toneladas começa a se mover sob uma ligeira chuva. Mas não é um dos milhares de caminhões que transportam mercadorias por estrada, e sua missão é muito menos trivial. Com seus faróis acesos, o caminhão passa pelos subúrbios da capital bávara,… Read more: Todas e todos implicados
  • Todxs los implicadxs
    Con las primeras luces del alba, un camión de 40 toneladas se pone en marcha bajo una ligera lluvia. Sin embargo, no es uno de los miles de camiones que transportan mercancías por carretera, y su misión es mucho menos trivial. Con los faros encendidos, el camión atraviesa los suburbios… Read more: Todxs los implicadxs

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