Recenzione
Raoul Vaneigem
Sull’autogestione della vita quotidiana
Contributo all’emergenza dei territori liberati dall’impresa statale e mercantile
DeriveApprodi, Roma 2019
Se un luogo comune sostiene che si possono avere molte vite, un essere umano può allora morire diverse volte senza essere soltanto un cadavere ambulante, ossia letteralmente uno zombi? Prendiamo ad esempio il caso del situazionista Raoul Vaneigem, il quale si è reso celebre per avere, il 15 maggio 1968, lasciato una Parigi già in piena agitazione rivoluzionaria per raggiungere sulla costa mediterranea il luogo delle sue vacanze programmate, non senza aver apposto la sua firma in calce ad un proclama che invocava l’azione immediata. È stato certamente in quel giorno che per la prima volta egli ha iniziato a trasformarsi in un morto vivente, preso nella lotta implacabile tra un negativo all’opera, un negativo creatore di mondi il quale non potrebbe avere paura delle rovine per affermare la propria poesia sovversiva, ed un positivo che si aggrappa disperatamente alla noia e alla schiavitù dei tempi presenti.
Dopo aver fatto in un ultimo sussulto l’apologia di Ravachol, Durruti e Cœurderoy, scrivendo per esempio nella prefazione ad una raccolta di quest’ultimo pubblicata nel 1972 che «l’organizzazione spettacolare incita più imperativamente alla violenza che i terroristi del passato», proponendo poi nel 1974 importanti tesi sul sabotaggio e sull’autogestione generalizzata, poco alla volta egli ha risolto a favore di queste ferie dal negativo che lo avevano portato a lasciare la capitale durante il joli mese di Maggio. La sua mutazione è diventata sempre più irreversibile a partire dagli anni 80, assai lontano da un sabotaggio dell’esistente che «incoraggia ovunque la libertà e il rafforzamento delle passioni, l’armonizzazione dei desideri e delle volontà individuali», lontano da quel gioco sovversivo che «abitua all’autonomia e alla creatività, e serve da base reale ai rapporti che i rivoluzionari desiderano stabilire tra di loro». Per non aver saputo cogliere in tutta la sua portata che il positivo (dalla sopravvivenza alla vita, nelle sue stesse parole) può nascere solo dal negativo in un medesimo slancio — ossia che ogni ipotesi di liberazione è legata ad una rottura violenta con la società attuale — il nostro zombi ha finito col prendersela con la maggior parte delle manifestazioni di disordine che lo circondano. Mutazione dopo mutazione, è arrivato persino ad equiparare il negativo proveniente dal basso (rabbia, rivolta, sommossa o sabotaggio) all’oppressione devastante che ci sovrasta, nel nome di una secessione magica dentro e accanto al mondo del dominio. Come un Chiapas Zapatista che avesse preso le armi per rinunciare immediatamente ad usarle, finendo per presentare il proprio candidato alle elezioni presidenziali messicane del 2018. Come una ZAD di Notre-Dame-des-Landes i cui piccoli imprenditori della lotta finissero con l’appropriarsi delle terre occupate reintegrandole nel giogo dello Stato. Ma procediamo con ordine, con alcuni esempi che illustrano ognuno un episodio della guerra sociale degli ultimi decenni.
Nel 1995, Vaneigem fece apparire tra due articoli alimentari per l’Encyclopædia Universalis un libretto a buon mercato destinato ai giovani ribelli. Nel suo Avviso agli studenti, che fu un successo nei supermercati del libro, ammoniva il suo giovane pubblico soprattutto a non disertare i banchi di scuola, men che meno a distruggerla, bensì a trasformarla dall’interno con i suoi insegnanti e i genitori! Da un lato «perché l’istinto di annientamento si iscrive nella logica di morte di una società mercantile la cui necessità lucrativa esaurisce la parte viva degli esseri e delle cose», e dall’altro perché prendersela materialmente con la scuola non farebbe che giovare «agli avvoltoi dell’immobiliare, agli ideologi della paura e della sicurezza, ai partiti dell’odio, dell’esclusione, dell’ignoranza». E poiché distruggere sarebbe comunque partecipare alla società, secondo il ben noto ritornello stalinista sui vetrai e sulle assicurazioni qui ripreso spudoratamente dal nostro zombi, perché non difendere all’improvviso anche i giudici buoni, questi «magistrati coraggiosi» capaci di «spezzare l’impunità che garantiva l’arroganza finanziaria», o ancora la convergenza di tutte le gabbie dato che «sarebbe un peccato che la scuola cessasse di ispirarsi alla comunità familiare»? Vale la pena precisare che questo Avviso uscì appena un anno dopo un vasto movimento di rivolta iniziato nei licei tecnici contro una riforma della loro precarietà (l’introduzione del Contratto di inserimento professionale, CIP), che dovette essere ritirato dal governo sotto la pressione della strada, in seguito a numerosi saccheggi, scontri ed incendi?
Dieci anni dopo, nel 2008, per il quarantesimo anniversario del suo soggiorno sul Mediterraneo, Vaneigem appose una nuova pietra all’avvenuta sepoltura delle barricate e del sabotaggio, diffondendo un volantino intitolato Mise au point, in cui non mancava di incaponirsi sulla protezione delle caserme dell’addomesticamento generalizzato. E fu così che castigò quella da lui definita «comunione di spirito» tra «l’abbrutito» che «brucia una scuola» ed «il bruto affarista che incrementa i propri profitti distruggendo il bene pubblico». In questo breve testo dalla sintesi degna di un ministro dell’interno di sinistra, si percepisce bene che le tre settimane di notti infuocate dell’ottobre-novembre 2005 partite da diverse periferie parigine avrebbero disturbato il sonno dell’amico di un bene pubblico che altro non è se non quello dello Stato, da molto tempo un cadavere ridotto a vagare tra i vivi. Uno di quelli che parlano di rivoluzione essendo totalmente incapace di comprendere «ciò che vi è di sovversivo nell’amore e di positivo nel rifiuto delle costrizioni».
Ma, senza tema di errore, per Vaneigem la questione si estende ben oltre la scuola. Nel settembre 2010, mentre nel suo paese natale era in corso da anni una lotta contro la costruzione del nuovo centro di detenzione di Steenokkerzeel (Bruxelles), pubblicò un suo piccolo contributo dal titolo Ni frontières ni papiers. Iniziando con una citazione di Albert Libertad per chiarire a chi si rivolgeva, lo zombi non esitò a denunciare la «difesa disperata, ovvero suicida» della «lotta per i senza-documenti», e già che c’era a criticare una «risposta aggressiva dello stesso tipo dell’intervento della polizia», una «medesima violenza» di quella dello Stato, che presumibilmente sarebbe stata presente in questa lotta specifica contro una struttura del potere! Ancora una volta, metteva sullo stesso piano gli attacchi auto-organizzati dal basso contro il dominio e la violenza istituzionale dall’alto contro gli indesiderabili. I sabotaggi incendiari di diversi ingranaggi della macchina delle espulsioni sullo stesso piano delle retate, dei pestaggi, della reclusione, delle deportazioni e talvolta dell’assassinio (come quello di Sémira Adamu) dei senza-documenti. Non contento di tentare di disinnescare la lotta in corso e cercare di dissuadere i ribelli dal parteciparvi, ha pure presentato una controproposta: «diffondere la disobbedienza civile». Dietro questa parola d’ordine che mira a «compensare le carenze di uno Stato sempre più lontano dalle rivendicazioni dei cittadini», Vaneigem proponeva nientemeno che l’instaurazione di «territori liberati dalla morsa della merce e del profitto» che permettesse ad esempio agli «Zingari» perseguitati di «sviluppare le loro risorse artistiche e musicali»! Sì, sì, basta con questa offensiva creativa contro le strutture e gli uomini del potere, viva le isole alternative di felicità per sfruttare le risorse ingiustamente disprezzate da uno Stato carente. A proposito, quale «anonimo belga» ha composto quella strofa di poesia pratica a cui molti non intendevano rinunciare, anche contro un piatto di lenticchie bio arricchito di violini: «Bruciate, tane di preti, / Nidi di mercanti, di poliziotti / Al vento che semina la tempesta / Si mietono i giorni di festa»?
Nel 2018, per il cinquantesimo anniversario del suo soggiorno mediterraneo, il cadavere continua palesemente a muoversi, e il rientro letterario porta sul tavolino queste riflessioni Sull’autogestione della vita quotidiana, intitolate Contributo all’emergenza dei territori liberati dall’impresa statale e mercantile. Ma cos’altro ci si può aspettare da un intellettuale che i vermi della pacificazione non finiscono di rodere? Da uno zombi che aspira solo a neutralizzare le fiamme di una guerra sociale in atto, proponendoci di soffocarle nei parchi a tema più o meno esotici della politica?
Nelle sue ultime riflessioni, Vaneigem non trova parole abbastanza dure contro un capitalismo naturalmente «finanziario» e incancrenito dalla «speculazione in borsa», o contro uno Stato che ovviamente si oppone al suo «popolo» e non destina più abbastanza denaro «a favore del bene pubblico», mentre il «proletariato» è stato ridotto alla condizione di «sottoproletariato» e di plebe dopo aver perso la sua favolosa coscienza di classe. Se queste banalità, frutto dell’incrocio tra il peggior marxismo del passato e il miglior cittadinismo populista odierno, possono far sorridere, è — indovinate un po’ — al «movimento detto dei casseur» degli ultimi anni che lo zombi riserva ovviamente le sue parole più tenere. «Urlare il proprio disprezzo e odio per il poliziotto» diventa così «un sollievo malsano», esprimere violenza nelle manifestazioni significa «liberarsi delle [proprie] frustrazioni come di una colica», la «rivolta appassionata» è solo una «aggressione mortifera» da superare, mentre «spaccare una vetrina, appiccare il fuoco ad una banca o ad un commissariato» diventa «uno sfogo in cui si arena e si dissipa un’energia di cui avrebbe bisogno l’occupazione di zone dove possa nascere e sperimentarsi una nuova società».
Avete letto bene: non dare fuoco a banche e commissariati mentre si occupano zone in cui…; non bruciare banche e commissariati per meglio strappare tempo e spazio al dominio al fine di aprire possibilità senza perimetro né misura; ma non distruggere proprio ciò che comunque è il minimo, al fine di dedicare tutte le energie… alla costruzione delle ZAD, poiché è a queste che Vaneigem si riferisce in tutto il suo libro (oltre agli idilliaci Chiapas e Rojava). Ma non è tutto, dato che questo capolavoro di confusione riesce perfino nell’impresa di proporre che dalle future assemblee autogestite esca «un rappresentante» che funga da poliziotto-investigatore, visto che «tra le motivazioni del poliziotto, non possiamo escludere (…) una passione chiave e benvenuta: la curiosità, il desiderio di svelare il mistero degli esseri viventi e delle cose». Molti decenni di pensiero critico per arrivare alla ZAD e alla curiosità poliziesca, valeva la pena venire espulsi dall’Internazionale Situazionista!
Per parte nostra, ci fermeremo qui. Come altri individui, abbiamo troppe cose reali da demolire con passione per non dissipare più energia su un testamento politico. Foss’anche quello di un morto vivente dallo sguardo vitreo.
[Avis de tempêtes, n. 11, novembre 2018]
Tradotto da Finimondo.