Algeri, 20 giugno. Qui come in altre vecchie colonie ha luogo il sacrosanto esercizio del Bac, che ha consacrato anni di selezione e docilità. Centinaia di migliaia di studenti delle scuole superiori si affannano a trasformarsi in fedeli pappagalli che ripetono a memoria ciò che il potere ha cercato di inculcare loro. Questa volta, la novità non consiste nella formazione di schiavi-cittadini adeguati ai bisogni del dominio, ma in una innovazione poliziesca: due volte al giorno, dal 20 al 25 giugno, le autorità algerine hanno infatti deciso di scollegare internet in tutto il paese, col pretesto di impedire di «imbrogliare» agli esami. Ciò ricorda quanto avvenuto nel 2011: il vicino Egitto era già stato il primo grande paese a tagliare quasi completamente l’accesso a Internet sul suo territorio in maniera intenzionale, nel bel mezzo del sollevamento che ha portato alla caduta della dittatura di Mubarak.
Qualche anno fa, in seguito a dei testi che spiegavano come i dispositivi di informazione e di telecomunicazione (internet, telefonia mobile) esistessero solo in funzione delle necessità della merce e del controllo, e che a questo titolo costituivano un obiettivo interessante della città-prigione, alcuni compagni si erano indignati.
Stasera penso a voi: niente di ciò che è telematico è fatto per noi — sovversivi ed altri raccoglitori di stelle. Tutto, dai telefoni cellulari ai social network, è stato pensato e costruito — e può quindi in qualsiasi momento ritorcersi — contro di noi, come altrettante dipendenze che ci allontanano da possibilità reali di auto-organizzazione e di comunicazione diretta.
Parigi, 15 luglio. Con la festa nazionale della vigilia e la finale dei mondiali di calcio, il potere ne approfitta per fare della città un gigantesco laboratorio di controllo. Lontano, molto lontano dagli Champs-Elysées dove si esprime in pompa magna tutto l’orrore patriottardo, i trasporti urbani ad esempio sono stati soppressi preventivamente dalla prefettura di polizia: niente autobus nella capitale né in tutti e tre i dipartimenti limitrofi (che contano ben 4,5 milioni di abitanti). Niente tram per fare il giro di Parigi, molte stazioni della metropolitana chiuse. Qualche anno fa, in seguito a dei testi che spiegavano come il trasporto pubblico esistesse solo in funzione dei bisogni della merce e del controllo, e che a questo titolo costituivano un obiettivo interessante della città-prigione, alcuni compagni si erano indignati.
Stasera penso a voi: niente di ciò che è pubblico, cioè dello Stato, è fatto per noi — improduttivi ed altri guastafeste. Tutto, dalla pianificazione dei quartieri fino alla circolazione al loro interno, è stato pensato e costruito — e può quindi in qualsiasi momento ritorcersi — contro di noi, come altrettanti confini invisibili che filtrano gli indesiderabili.
In un mondo in ristrutturazione permanente, dove le guerre ritornano a bussare alle porte dell’Europa mentre le maglie della rete dello sfruttamento e del controllo si stringono all’interno delle frontiere; dove le tecnologie avanzate penetrano i nostri geni e mappano il nostro cervello mentre le devastazioni dell’ambiente lo rendono una catastrofe permanente; dove emozioni e sentimenti, sogni e linguaggio sono sempre più mediati da protesi algoritmiche, nulla è più certo. Il nostro grado di spossessamento è diventato tale che in ogni momento il potere dispone di enormi possibilità in tutti gli ambiti della vita, per rimandarci alla nostra miseria di nudi soggetti. Tagliare tutto è allora il minimo che possiamo fare, se vogliamo strappare tempo e spazio al dominio per sperimentare la libertà.
In questo mondo senza più sicurezze, facendo un passo indietro, ci resta tuttavia una piccola certezza, assoluta e contingente: cioè che abbiamo una sola vita, e che un giorno moriremo tutti. Un’unica certezza quindi, che in questo turbinio non dà speranze né consolazione, ma una strana indicazione. Quella che, malgrado tutti gli ostacoli eretti davanti a noi, se conosciamo la fine del cammino, è solo quest’ultima ad essere ineluttabile. Né le sinuosità, né le occasioni, e tanto meno le fonti che lo costeggiano sono tracciate in anticipo. Contro la rassegnazione ed il fatalismo del tempo, per riprendere la propria vita in mano coniugando idea e azione, coltivare alcune qualità supplementari come l’immaginazione e la determinazione potrebbe essere un buon inizio.
Di fronte alla schiavitù delle piantagioni americane, l’immaginazione non ha forse costruito la ferrovia sotterranea — rete di fuga su larga scala verso il Messico e il Canada —, l’azione diretta non ha tentato di forzare il destino attraverso l’insurrezione di Harpers Ferry, l’auto-organizzazione e la determinazione non hanno fatto nascere dei quilombo nel cuore della giungla brasiliana? Più vicino a noi, nelle condizioni di sfruttamento e di miseria che costituivano già la sorte comune di ogni immigrato, non è una miscela di audacia e di fantasia ad aver indotto un anarchico italiano a progettare di sopprimere in un sol colpo la classe dirigente di un intero Stato americano (avvelenando il loro pasto), o ad aver permesso ad un giovane disoccupato mezzo cieco di cercare di provocare un salutare scossone davanti all’ascesa del nazismo incendiando il Reichstag tedesco?
Ancor più di recente, rinchiusi in una immensa prigione a cielo aperto chiamata striscia di Gaza, di fronte ad uno degli eserciti più temibili del mondo, in possesso di armi da guerra tra le più moderne e sofisticate, cosa potevano immaginare individui privi di speranza, di mezzi e di un futuro? Dopo il massacro del 14 maggio, giorno dell’installazione dell’Ambasciata americana a Gerusalemme, quando sessanta manifestanti sono stati uccisi ed oltre duemila feriti dai proiettili dei cecchini israeliani per essersi avvicinati troppo al filo spinato del confine, centinaia di aquiloni e palloncini artigianali con un piccolo congegno incendiario legato alla fine del filo hanno preso il volo. Il vento soffiava verso il territorio israeliano ed è lì che da un mese cadono questi aquiloni, è lì che si sprigionano le fiamme malgrado droni e bombardamenti (in media 24 incendi con aquiloni, tutti i giorni nelle ultime settimane). Diverse centinaia di ettari di campi e case di coloni sono andati in fumo, causando centinaia di migliaia di euro di danni.
E noi, quali sono gli aquiloni che vogliamo far volare? Quale immaginario infuocato e singolare vogliamo esplorare di fronte alla ragione del più forte, senza altra certezza se non quella di seguire fino in fondo il nostro percorso contro ogni autorità?
Avis de Tempêtes, n. 7, 15 luglio 2018.
Tradotto da Finimondo.